giovedì 3 dicembre 2015

CINEMA A LETTERE

Giovedì 10 dicembre il plesso di piazza Brunelleschi rimarrà aperto per ospitare la proiezione di Io sto con la sposa, un film documentario del 2014 diretto da Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry.
Vi aspettiamo in Aula 4b - ex Architettura, Piazza Brunelleschi 4.

giovedì 5 novembre 2015

Fuga dal Campo 14


Uscito da poco più di un mese Fuga dal Campo 14 si presenta come un libro unico nel suo genere ed estremamente esauriente nella ricostruzione dei fatti di un complesso quadro storico, politico e sociale .
L’opera è stata portata avanti dal giornalista americano del Washington Post, Blaine Harden, il quale attraverso sette turni di interviste dislocate tra Seoul, Torrance (California) e Seattle,  ricostruisce tutto il corso dell’esistenza del giovane Shin Dong ̵Hyuk, trentaduenne, ex cittadino nord coreano, nato, cresciuto e poi fuggito da uno dei campi di lavoro presenti su tutto il territorio, il Campo 14.
Il 14 è quello di Kaechon, localizzato a sud di Pyongyang, incastonato in un panorama di valli e montagne scoscese, ospita circa quindicimila detenuti impiegati in miniere, fabbriche tessili o fattorie. Fu creato nel 1959, ha dunque alle spalle ben cinquantacinque anni di attività indisturbata.
Ma non è l’unico : i campi di lavoro per i prigionieri politici nordcoreani sono dislocati nella zona centrale e nel nord est del paese. Le fotografie satellitari visibili da google, mostrano grandi aree recintate che li isolano completamente dal mondo esterno e sono tutt’ora in espansione. La loro gestione è affidata  al Dipartimento per la Sicurezza di Stato, che attraverso il loro apparato di polizia segreta Bowibu , si occupa anche di prelevare i futuri detenuti dalle loro abitazioni nel cuore della notte.

Oltre alla complessità del contesto è anche interessante notare l’atipicità della testimonianza di Shin a livello letterario. Spesso nelle storie dei sopravvissuti ai campi di concentramento possiamo individuare lo stesso arco narrativo: il distacco forzato del protagonista dal calore del proprio nucleo familiare e lo sbarco nella realtà aliena del campo, dove le logiche di sopravvivenza sono stravolte rispetto al quotidiano. Hanno però tutti conosciuto l’affettività dei rapporti, la convivenza e il calore genitoriale, quindi sono ben consci che sopravvivere al lager significa abbandonare i propri principi morali e sopprimere i sentimenti verso il prossimo.  Conoscevano la vita fuori dal campo e avevano desiderio di farvi ritorno.
Ma a differenza loro, Shin non era disceso nell’inferno, lui là c’era nato e cresciuto e ne ha interiorizzato i valori. Tant’è che gli erano sconosciuti i motivi per cui fosse detenuto nel campo a regime duro di Kaechon: aveva normalizzato la sua condizione di prigioniero, per questo non era motivo di riflessioni. E non esisteva la Corea del Nord o del Sud, l’America, la Cina o l’Europa, non gli interessava la vita al di fuori del gulag, aveva solo fame.
La sua sopravvivenza era assicurata dalla giusta risposta agli stimoli del campo, una sorta di immensa scatola di Skinner : dato il contesto , con un repertorio di risposte di base, quella giusta è incentivata da uno stimolo positivo (raro, ma si trattava generalmente di qualche porzione in più di cibo o la speranza di un lavoro meno faticoso), quella sbagliata punita violentemente e in modo esemplare. 

Shin ha grosso modo la stessa età di Kim Jong Un, il principe comunista terzogenito del “Caro Leader” Kim Jong Il, salito al potere nel dicembre 2011. I due coetanei rappresentano i poli opposti di privilegio e privazione nella Corea del Nord, società nominalmente senza classi ma dove in realtà tutto dipende dal sangue e dal lignaggio.
Spesso Harden interviene durante la narrazione fornendoci un quadro più ampio di quella che è la profonda contraddittorietà della Corea del Nord, dove da un lato c’è il lusso e lo sfarzo della famiglia Kim, dall’altro un paese terribilmente denutrito, nel quale neanche l’élite residente a Pyongyang può accedere alla corrente elettrica durante tutto l’arco della giornata.
La sopravvivenza è legata gran parte agli aiuti umanitari, gestiti illegalmente dal commercio vagabondo e mercati privati , che a loro volta, alimentano una corruzione dilagante in quello che è il paese più militarizzato al mondo.
Ciò che lo stato ha in serbo però per chi è prigioniero nei campi sono lavori forzati, fame cronica e una conseguente morte precoce per malattie.
In Corea del Nord è legale incriminare i cittadini in base ai legami di sangue e parentela, e imprigionare i trasgressori insieme ai propri parenti secondo una legge istituita da Kim Il Sung nel 1972 : Il seme dei nemici di classe, chiunque essi siano, deve essere estirpato attraverso tre generazioni. Quindi, dal momento che il sangue di Shin è “contaminato” dai crimini ereditati dai fratelli di suo padre, era giusto che vivesse assieme agli altri detenuti al di sotto della legge, nel segreto assoluto di un’accusa non formulata, che non ha bisogno di processo o difesa.

Nel 2004 le Nazioni Unite nominarono uno special rapporteur, Vitit Muntarbhorn, per i diritti Umani in Corea del Nord, ma non è in nessun modo riuscito a influenzare il governo di Pyongyang o a far aumentare la consapevolezza internazionale sui campi. La Corea del Nord si rifiutò fermamente di far entrare il rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani e condannò i suoi rapporti annuali come complotti per rovesciare il governo.

Ad oggi si stima che all’interno dei sei campi per prigionieri politici (Kaekon, Yodok, Hwasong, Puckhang, Hoeryong, Chongjin) e quelli rieducativi, siano internati tra le 150 e le 200 mila persone.
Il fact-checking non è assolutamente possibile. Nessun estraneo ha mai visitato i campi per prigionieri politici e i resoconti di ciò che succede al loro interno non possono essere verificati, né smentiti. Quindi fino a quando la Corea non darà la disponibilità a sopralluoghi esterni nei suoi territori, non avrà modo di confutare i fatti.
Il libro di Harden è uscito in Italia questo settembre, edito dalla Codice edizioni di Torino, 2014.
Tutte le testimonianze di cui disponiamo tra ex detenuti e guardie sono state raccolte nel rapporto dall’esperto di diritti umani David Hawk, The Hidden Gulag, sempre in aggiornamento.

Link Utili:

sabato 3 ottobre 2015

Ventimiglia chiama, Firenze risponde

In questi mesi abbiamo assistito ad un crescendo di delirio mediatico sulla questione migranti: ondate, invasioni, emergenze, stragi nel Mediterraneo. Questi ritornelli in televisione e sui giornali ci hanno accompagnato durante tutta l'estate.
Abbiamo quindi deciso di recarci personalmente a Ventimiglia con un convoglio di aiuti raccolti insieme all'Ass. Anelli Mancanti e AUCS, iniziativa premiata dalla generosità di tantissimi studenti, studentesse ed abitanti di Firenze che ci hanno permesso di raccogliere centinaia di abiti, decine di scarpe, coperte, materiale per l'igiene personale, cellulari e tende.
Oggi però da Ventimiglia viene lanciato un secondo appello, in risposta alla violenta repressione di questi giorni. Per questo abbiamo deciso di aderire e partecipare alla manifestazione di Domenica 4 Ottobre per la libertà di movimento, di seguito l'appello dei NO BORDERS:

CHIAMATA NO BORDERS ALLA LOTTA INTERNAZIONALE PER LA LIBERTÀ DI
MOVIMENTO – domenica 4 ottobre manifestazione a Ventimiglia

All’alba di Mercoledì 30 Settembre due ruspe e tre camion hanno distrutto in sei ore un luogo di solidarietà costruito in oltre tre mesi grazie al supporto dei migranti in viaggio e dei solidali di tutta Europa. Hanno pensato che oltre alle tende, alla cucina, alle docce, avrebbero demolito anche il cuore della lotta No Borders. Si sbagliano: il Presidio ha mostrato di valicare ogni barriera fisica e materiale contrapponendo alle barriere la costruzione comune di un territorio di solidarietà, relazioni e lotta internazionale per la liberà di movimento per tutte/i e contro ogni confine.
Quello che abbiamo visto accadere in questi mesi a Ventimiglia, avviene anche altrove: Choucha, Lampedusa, Calais, Parigi, per citarne solo alcuni. Sono altri luoghi di resistenza, posti di frontiera interni ed esterni della “Fortezza Europa”. Spazi di transito dove alla violenza del viaggio, dei maltrattamenti subiti dalla polizia e dai trafficanti, si unisce la violenza del confine materiale, una linea immaginaria militarizzata senza pudore. La violenza di un limbo in cui i migranti diventano pedine da ripartire tra vari stati in un gioco di ambiguità legislative. Vediamo un’Europa che professa libertà di movimento mentre Schenghen si riduce ad ennesimo dispositivo che rafforza le gerarchie tra chi è cittadino e chi non lo è e per questo rimane intrappolato nelle disposizioni di Dublino III, che vincola la domanda d’asilo al primo paese di arrivo.
Sappiamo bene che il controllo non è l’unica strategia messa in campo nella gestione della migrazione: quel che denunciamo, oltre alla chiusura dei confini, è il drenaggio classista e razziale dei flussi, attraverso cui gli stati cercano di accaparrarsi la manodopera più qualificata, talvolta creando un vero e proprio “business dell’accoglienza” in cui i rifugiati diventano possibilità di profitto per le cooperative, talvolta attraverso lo sfruttamento redditizio dell’illegalità, sistematicamente infine nello sfruttamento sul lavoro.
Meno di un mese fa scrivevano che a Ventimiglia non c’erano più migranti, e in poco tempo il nostro campo ospitava 220 migranti in transito. Oggi viene scritto che la giornata del 30 settembre, iniziata con uno sgombero e finita con la spartizione degli ottanta presidianti tra commissariato, carabinieri e Croce Rossa, “è stata una giornata di soluzioni”.
Il confine resta però chiuso e i migranti che erano disposti a rischiare la propria vita sugli scogli per rivendicare il diritto all’autodeterminazione, sono ora per strada.
I solidali restano con loro. Loro restano con i solidali. Resteremo uniti nella lotta finché “le soluzioni” pensate non portino all’apertura del confine: é questa la decisione che ha concluso la prima assemblea del No Borders Camp in esilio.
Distruggere le nostre cose, circondarci con centinaia di agenti e decine di blindati, non è una risposta al problema dell’abominio rappresentato dai respingimenti in frontiera.
I migranti arriveranno ancora, e le stesse violazioni saranno perpetrate. Ci hanno tolto casa ma non ci hanno fermato. Oggi siamo più forti, più determinati e ancora più uniti.
Chiamiamo con un appello internazionale chiunque sia convinto, assieme a noi, che la storia della lotta contro i confini sia solo all’inizio e che oggi, ancora più che ieri, sia il momento di gridare con tutte le nostre voci:
WE ARE NOT GOING BACK!

DOMENICA 4 OTTOBRE 2015 ORE 14:30 ALLA STAZIONE DI VENTIMIGLIA
MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALE

HURRYA!

Presidio permanente No Borders Ventimiglia in exile




mercoledì 25 marzo 2015

Quel 14 dicembre in piazza c'eravamo tutt*!

14 dicembre 2010. Nel giorno del voto di fiducia al Governo Berlusconi, un'imponente manifestazione nazionale inondava le strade di Roma. Una marea umana provava in quel giorno ad opporsi allo scempio della compravendita di voti in Parlamento.

Un Parlamento completamente delegittimato da quanto accadeva al suo interno con la fiducia strappata grazie ai vari Scilipoti e Razzi, ma anche con il beneplacito di chi oggi gode della nomea mediatica di "unica opposizione" al governo Renzi (la Lega Nord di Salvini) che, a braccetto con la grande coalizione, ha votato le maggiori riforme strutturali vigenti in questo paese, dalla Biagi alla Gelmini, passando naturalmente per l'approvazione dell'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.

Cinque anni dopo, la procura romana cerca di agire la propria rivalsa chiedendo pene spropositate per alcuni manifestanti, identificati come presunti “organizzatori” di quella giornata. Una sete di vendetta alimentata non solo dal protagonismo politico di alcuni magistrati, ma anche e soprattutto da valutazioni politiche volte a legittimare un sistema in cui le uniche opposizioni riconosciute al "partito unico" di Matteo Renzi sono quelle funzionali alla narrazione neoliberale, come la “nuova” Lega Nord. Questo perché quella giornata fu figlia di un lungo percorso che vide in quel 14 dicembre uno dei momenti di apice per un movimento che dispiegò in quell’autunno tutta la sua capacità di mobilitazione, diffusa a livello nazionale. Un movimento composto dai più diversi settori sociali e dalle più eterogenee rivendicazioni. Che prese le mosse dagli studenti che si opposero con forza e per mesi alla Riforma Gelmini e che ebbe la capacità di generalizzare, nel pieno della crisi economica, le ragioni dell'opposizione al governo, costruendo il primo tentativo di movimento anti-crisi nel nostro paese: dai senza casa perennemente in emergenza abitativa, ai cittadini aquilani devastati dal terremoto e dalle speculazioni successive, dalle lotte sul lavoro e contro la precarietà, fino alle popolazioni campane in lotta contro gli inceneritori.

Un movimento composito dunque, fuori dallo schema della compatibilità politica perché unica opposizione credibile nel Paese. Da qui deriva il tentativo di reprimerlo ed escluderlo da ogni forma di legittimità. Quel che è accaduto quel 14 dicembre non è infatti riconducibile a dinamiche avanguardiste, a fantomatici gruppi organizzati di “spaccavetrine” evocati in continuazione dai media, non è tantomeno possibile individuarne gli “organizzatori”: quella giornata fu la giornata di centinaia di migliaia di persone, per questo Piazza del Popolo fu e resta la piazza di tutt*! Il tentativo è quello di ridurre una complessa storia collettiva fatta di discussioni, azioni, cortei, condivisione, emozioni, notti insonni, assemblee e voglia di partecipazione, desiderio di esserci attraverso le più diverse forme, scritta da un pezzo rilevante del nostro paese, ad un banale episodio di criminalità. Ricordiamo il forte consenso di buona parte della società verso quel movimento, consenso che portò centinaia di migliaia di persone a scendere in piazza e a manifestare la propria rabbia verso lo scempio che si consumava ai piani alti della politica di questo paese. Ricordiamo le macchine in coda applaudire i cortei che bloccavano la circolazione e gli abitanti sostenere dalle finestre i serpentoni che si dispiegavano anche nelle periferie, ricordiamo la frequenza con cui accadevano queste cose, in quelle intense settimane vissute “in movimento”. Quell'approvazione sociale, quel conflitto inscritto in un larghissimo consenso, sono la misura della gravità delle accuse che i magistrati rivolgono a quei cittadini ora ingiustamente inquisiti in Tribunale per il 14 dicembre; accuse che si inseriscono all’interno di un quadro che ha visto moltiplicarsi i procedimenti giudiziari e il numero di persone inquisite sui fatti di quell’autunno del 2010.

Oggi questo paese vive una chiusura degli spazi di agibilità democratica senza precedenti e a tutto tondo, fortemente collegata all'acuirsi della crisi e del carico delle misure d'austerity su tutt* noi, quell* che non hanno prodotto alcun debito da ripagare e che non si sono arricchiti dalla e nella crisi finanziaria. Come nel caso del 14 dicembre 2010 e delle tante giornate di quell'autunno finite nelle aule di Tribunale, apprendiamo con sdegno che ad altri che hanno portato avanti quel movimento, come a Palermo, vengono notificate 17 obblighi di firma, con tanto di “teorema” volto a ipotizzare una presunta associazione a delinquere degli stessi. Allo stesso modo consideriamo più che un campanello d’allarme il fatto che misure cautelari vengano applicate verso chi partecipa a uno dei tanti e quotidiani picchetti antisfratto, come accaduto a Roma qualche giorno fa; segno che dai momenti più larghi e diffusi alle pratiche più quotidiane e locali il tentativo è proprio quello di eliminare ogni forma di dissenso e di conflitto dal novero della compatibilità democratica, quella interna al regime delle “larghe intese”.

Invitiamo tutti i cittadini e le cittadine, i lavoratori e le lavoratrici, gli studenti e le studentesse, i cassintegrati, le realtà organizzate che erano in piazza quel 14 dicembre a prendere parola e difendere la Storia che insieme abbiamo costruito e che, oggi, è messa alla sbarra per essere riscritta. Non lasciamo soli gli imputati e rivendichiamo la libertà di opporci, di manifestare e di costruire una vera opposizione sociale nel paese.

Il 14 dicembre 2010 è un patrimonio collettivo: se cercano criminali da isolare, basta cercare tra i nomi di quelli che sedevano in parlamento.

Che nessun* resti sol*, quel 14 dicembre in piazza c’eravamo tutt*

Invitiamo tutte e tutti, da oggi al 2 aprile stesso, giorno della sentenza, ad esprimere solidarietà e complicità attraverso una campagna virale con striscioni, cartelli, articoli e foto da far girare ed inviare alla mail: dicembrequattordici@gmail.com
#14D 2010:La piazza è del Popolo, tutti e tutte liber@
#14D 2010 La Piazza è del Popolo, Nessun* resti sol*!

da Ateneinrivolta

mercoledì 25 febbraio 2015

La buona scuola siamo noi

Appello d'emergenza a tutti gli studenti dell'Ateneo Fiorentino.
Venerdì 27 gli studenti delle scuole superiori hanno organizzato una manifestazione per contestare la Buona Scuola: l'ultimo schiaffo all'istruzione pubblica.
Il 28 Febbraio verrà votata (con approvazione praticamente certa, vista la maggioranza schiacciante della coalizione PD-FI-NCD) la Buona Scuola.
Il nuovo testo sarà reso pubblico solo a meno di 24ore dalla votazione, ma molti dei contenuti di questa riforma sono noti da quasi un anno.
I punti sicuri, che non devono passare sotto silenzio, sono :
1- La chiusura delle Graduatorie a Esaurimento ed la fine definitiva del turn over lavorativo nelle scuole italiane (in barba alla sentenza della Corte di Cassazione Europea del 26 Novembre).
In pratica stanno privando intere generazioni della possibilità di entrare a lavorare nel sistema scolastico.

2- Lo sfruttamento del lavoro degli studenti delle superiori, che saranno costretti a 400 ore di stage/tirocinio non retribuito in aziende private esterne ai propri licei,istituti tecnici e professionali durante gli ultimi 3 anni del percorso "formativo". Suddette aziende potranno devolvere il 5 per mille nelle scuole o fornire le LIM (i fantastici quanto inutili tablet nei quali verrà sperperato il denaro pubblico, un tempo destinato alle ristrutturazioni degli edifici degradati) in cambio di pubblicità o di potere decisionale sui programmi didattici.

3- La questione dell'autonomia dei presidi e dei direttori, nuovi baroni ed imperatori, che avranno potere decisionale praticamente illimitato su tutto l'ambito scolastico.
A loro spetteranno le questioni disciplinari e di organizzazione degli spazi, ma anche le attribuzioni arbitrarie degli aumenti di stipendio dei docenti con la nuova logica dei premi, senza organi di controllo.

4- Il sostanziale annullamento degli scatti di anzianità degli insegnanti, ormai ridotto a pochi spiccioli mensili ogni 7 anni, sostituito dal sistema dei premi, pagati dallo stato ed elargiti a discrezione dei baroni secondo logiche apertamente clientelistiche.

5- I nuovi vergognosi tagli, supportati dalla logica, ben palesata nelle vecchie bozze del provvedimento, del "non abbiamo soldi per salvare la scuola italiana, quindi continuiamo a tagliare i fondi".

Questo modello farà da apripista per la Buona Università, prevista per quest'estate.
Non possiamo accettare che vengano sperperate diverse decine di miliardi di euro per opere inutili come il TAV o eventi come l'Expo2015, mentre vengono tagliati gli ultimi milioni rimasti all'istruzione.
Non possiamo accettare di barattare il nostro futuro (sia di futuri docenti sia come Paese, in quanto sappiamo bene che la cultura è fondamentale per il nostro sviluppo reale) con le vuote promesse del governo Renzi-Berlusconi.
È il momento di scendere in piazza, è l'ora di riprenderci il diritto di decidere sulle nostre vite.
Fermare la Buona Scuola è possibile e necessario, vogliamo le dimissioni immediate ed irrevocabili di questo governo che non abbiamo votato e che antepone gli interessi dei privati alle nostre vite.

Non siamo in debito, siamo il 99%, riprendiamoci i nostri diritti e riappropriamoci del nostro futuro.

                                              
Collettivo Lettere e Filosofia

martedì 3 febbraio 2015

Serve sicurezza, ma quale sicurezza?

I recenti avvenimenti hanno fatto tornare a galla la spinosa questione della sicurezza dei plessi universitari del centro storico, fonte di già accesi dibattiti nei mesi passati. Nel pomeriggio del 29 gennaio, un uomo armato di taglierino e di una bottiglia entra nel chiostro del Brunelleschi e minaccia Michele, un addetto alle pulizie. Vengono chiamate le forze dell’ordine e l’aggressore viene arrestato.

Vista la gravità dell'accaduto Alberto Tesi rettore dell'Università concede diverse interviste nelle quali, fra varie superficialità, non dimentica di attaccare il Collettivo di Lettere e Filosofia come promotore del degrado e annuncia l’immediata installazione dei tornelli a “difesa” del plesso: “Tutto questo davanti a docenti e ragazzi, in una sede che in questi anni – a causa delle feste degli studenti del Collettivo spesso degenerate in veri e propri rave party, ma anche per il degrado che la circonda da tempo – ha procurato numerosi grattacapi in Ateneo, tanto da richiedere iniziative drastiche” recita il Corriere Fiorentino.

Partendo dal presupposto che non vogliamo negare le difficoltà in cui versa il plesso, sentiamo comunque il bisogno di esprimere la nostra posizione in merito. Innanzitutto puntualizziamo il fatto che organizziamo una o al massimo due feste l’anno, occupandoci personalmente delle pulizie fino all’alba quando necessario. Il nostro tentativo è ed è sempre stato quello di coniugare le nostre proposte politiche (compresa l'etica degli spazi comuni, a maggior ragione se spazi Universitari quindi pubblici) con l'aspetto ludico e sociale della festa studentesca, senza escludere la necessità (che è anche una scelta politica) di autofinanziare le nostre attività. Teniamo a precisare quindi che non abbiamo intenzione di tacere mentre veniamo tirati in ballo come capro espiatorio per la situazione in cui versa il chiostro: l’unico degrado che vediamo è l’abbandono nel quale riversa la sede di piazza Brunelleschi, la cui responsabilità non può certo essere riversata sugli studenti o sui clochard perché deriva dalle scelte dei baroni e dagli interessi politici della dirigenza universitaria.

Servono risorse per riparare le nostre aule che cadono a pezzi, per riqualificare interi stabili dove improvvisamente si aprono crepe nei soffitti e buchi nei pavimenti, o ci sono infiltrazioni d’acqua quando piove, salta la corrente e si blocca l’ascensore per i disabili. Senza considerare che i libri, a Lettere, non sono preservati come dovrebbero: questo è degrado. Gli studenti hanno già pagato fin troppo, con l’aumento delle tasse e con le riduzioni dei servizi; abbiamo normalizzato questa indigenza scabrosa con un polemico “tanto è così che va”, ma la responsabilità è delle autorità competenti, non certo nostra. Anche questo è degrado e stiamo sempre parlando di sicurezza.

Pochi mesi fa contestavamo la presenza della guardie giurate armate in quanto fuori legge (la legge Maroni parla chiaro: è necessario che vengano assunte delle guardie a custodia delle università ma queste non devono essere armate) e simbolo delle speculazioni delle agenzie di security e oltremodo diseducative.

Nello stesso periodo criticavamo il modello dell’università-azienda, che per risparmiare sui lavori di manutenzione (soprattutto l’abbattimento e la potatura degli alberi nel chiostro e nel cancello) non teneva conto delle norme sulla sicurezza sul lavoro, lasciando gli operai senza caschetto protettivo e senza garantire l’incolumità loro e degli studenti che transitavano a due passi dai mezzi per i lavori. Infine saremmo curiosi di conoscere i risultati di un eventuale controllo sulla sicurezza in casi di emergenza (terremoti, incendi, allagamenti, ecc.), su uscite di sicurezza, scale di emergenza, estintori e quant'altro. Non siamo così sicuri di un esito positivo.

Le chiacchiere dei giornalisti pennivendoli non ci riguardano realmente, non parlano dei nostri veri problemi, fanno solo gli interessi pubblicitari di chi li contatta e di chi li sguinzaglia.

Quello che il rettore teme è una critica reale al suo operato, orientato chiaramente a mantenere una parvenza di controllo e di “tempestivo intervento e cura” in vista della tornata elettorale.

Anche l’intervento del Sindaco Nardella, con la proposta di militarizzare la piazza, ci sembra inopportuno se non ridicolo.

La questione degrado non è stata affatto risolta in città nonostante il suo piano per la notte, anzi, è esplosa rinchiudendo le persone in casa, estremizzando l’abbandono della vita cittadina, ormai divenuta una squallida vetrina del capitalismo. Il progetto di trasformare proprio Piazza Brunelleschi in un parcheggio è l’esempio lampante della contraddizione espressa dalla giunta del PD: non c’è nessun interesse per i cittadini e gli abitanti del quartiere, nessuna progettualità reale dietro lo spreco immane di denaro, l’unica cosa chiara è il desiderio di far perpetuare il circolo di vizioso di appalti truccati e concorsi fasulli.

Quello dei tornelli è un progetto vecchio, già scartato grazie all’opposizione storica del collettivo che ne aveva messo in luce problematiche e criticità anni fa. È una limitazione inaccettabile del nostro diritto a muoverci liberamente nella città e negli spazi universitari, che noi vorremo aperti alle commistioni e alle contaminazioni di idee che il mondo esterno ci offre.

Questi tentativi della giunta insieme alle decisioni prese dall'Ateneo sembrano spingere sempre di più verso una ghettizzazione della classe studentesca: essendo molesti e poco proficui per i movimenti economici delle aree più commerciali, siamo comunque da tenere separati rispetto a quella classe di indigenti, ambulanti o migranti, ritenuta scomoda e pericolosa. Gli attuali problemi economici e la realtà delle grandi migrazioni sono complessi e ci riguardano da vicino, eppure ci troviamo di fronte alla solita generalizzata e strumentalizzata paura del diverso. Non neghiamo che ci siano usi impropri della sede di Brunelleschi (come spesso capita di fare anche ai turisti a dirla tutta), ma quale soluzione ha proposto il sindaco per affrontare questa crisi sociale? Si è limitato a tentare di creare zone urbane di prima, seconda e terza categoria costringendo gli indesiderati a decentrarsi  e pian piano riuscirà a creare immense aree dove possano agire tranquilli senza contrastare “il regolare procedere del mondo civilizzato.”

Come Collettivo chiediamo che tale problematica venga affrontata in maniera reale e coerente, non con provvedimenti militari di facciata direzionati a nascondere per l’ennesima volta il problema senza discuterne con i diretti interessati (noi studenti) privandoci di un confronto costruttivo e civile, lontano da logiche personalistiche. Ribadiamo come sempre che vogliamo un’Università libera dai privati, pubblica (anche nel senso di aperta a tutte e a tutti), laica, solidale e cosmopolita.


Della questione generale e sul da farsi discuteremo insieme nella prossima assemblea del Collettivo, aperto a tutte e tutti gli studenti, docenti e lavoratori del plesso, giovedì 5 Febbraio nel chiostro di Brunelleschi alle 17.

Collettivo Lettere e Filosofia